Del resto la preoccupazione per le malattie nell’epoca dei media non ha più a che fare con la loro gravità intrinseca, ma con l’allarme che suscitano che è ovviamente modulato dal potere. Una pandemia come l’asiatica che fece 20 mila morti solo in Italia nel ’57 ebbe ben pochi titoli e passò praticamente sotto silenzio, tanto che Paolo Monelli su la Stampa scrisse che “il terrore per una gentile influenza è dovuto solo al nome: asiatica”. Allora il fattore, provato e documentato, che favorì il diffondersi dell’epidemia già durante l’estate fu il trasferimento continuo dei soldati di leva da un’area all’altra del Paese, mentre adesso la paura del coronavirus, così straordinariamente esibita, non impedisce un gigantesco trasferimento di truppe dagli Usa e da altri Paesi europei per le manovre di primavera in funzione antirussa. Il fatto è, vedete, che le sindromi influenzali non sono mai gentili e sebbene tutti le abbiano prima o poi e spesso parecchie volte nella vita, sono nel complesso le malattie che hanno fatto più morti nella storia conosciuta dell’umanità. Non direttamente, ma nella stragrande maggioranza dei casi facendo collassare i sistemi vitali più compromessi da altre patologie. In realtà visto che esse fanno da 4mila a 10mila morti ogni anno solo lungo lo stivale bisognerebbe prendere severe misure per arginare il contagio tutti gli inverni, mentre questo non accade affatto. Accade adesso invece, nella più grande confusione possibile e nell’ambiguità, per coprire altri tracolli di umanità.
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Entrambe osservano come l’atteggiamento dei mezzi di comunicazione sociale e delle autorità fosse in quell’occasione radicalmente diverso. Nonostante l’estensione del contagio, favorita anche dagli spostamenti dei militari di leva per licenze, esercitazioni o parate, e nonostante che ne fosse stata colpita anche la moglie dell’allora Presidente della Repubblica Gronchi, i giornali tendevano a minimizzare la situazione; la Tv, per altro strettamente controllata dal governo, era appena agli esordi. La preoccupazione dominante era di non creare allarme. Persino un grande giornalista e scrittore come Paolo Monelli, autore di volumi indimenticabili come Le scarpe al sole, Con me e con gli alpini od Optimus potor, pubblicò sulla “Stampa” per tranquillizzare l’opinione pubblica un articolo il cui titolo era tutto un programma: “Il terrore per una gentile influenza è dovuto solo al nome: asiatica”.
Nonostante il rischio del contagio uffici, fabbriche, cantieri, banche, negozi, bar, ristoranti, parrucchieri rimasero aperti; solo l’inizio dell’anno scolastico conobbe uno slittamento, in aree particolarmente colpite dal virus. La vita continuò a fare il suo corso, in una nazione che proprio allora stava superando il sottile crinale fra le asperità della Ricostruzione e l’euforia del Miracolo economico. E l’Italia resse alla prova, sia pure con un tragico bilancio di morti.
https://www.barbadillo.it/89366-giornale-di-bordo-il-coronavirus-e-la-memoria-dellasiatica-del-1975/