L’onda lunga della protesta giovanile partita nel 1964 con i disordini dell’università di Berkeley, in California, dove tra l’altro si è costituito il Movimento per la Libertà di Parola, ha incendiato con le sue rivendicazioni anche molti campus dell’America Latina. Gli studenti reclamano un potere reale e parlano di cogobierno, di governo condiviso con le istituzioni accademiche. Negli Stati Uniti i giovani si schierano compatti non solo contro l’intervento militare in Vietnam, ma anche contro il monopolio crescente delle lobby politico-militari che, attraverso finanziamenti a pioggia e commesse, condizionano la ricerca scientifica indirizzandola verso propri scopi. Anche i successivi moti di Strasburgo e Parigi, le manifestazioni inscenate a Oxford e alla London School of Economics della capitale britannica affondano le radici in un malcontento condiviso dai coetanei di altri paesi, sottolineando con forza una frattura generazionale che si va progressivamente allargando nei confronti di chi ancora coltiva i valori emersi nell’immediato dopoguerra. Non si tratta del solito, per così dire naturale, conflitto che oppone i figli, in cerca d’identità e autonomia, ai padri, bensì di qualcosa di molto più profondo che assume contorni inediti traendo linfa dalle rinnovate istanze sociali e dalle teorie che ne sostengono la progressiva trasformazione. L’istruzione di massa ha allungato in modo significativo i confini anagrafici tra l’età adolescenziale e quella adulta, ampliando di fatto il periodo d’inferiorità tipico della condizione studentesca ed estendendolo a persone ormai perfettamente formate e non più disponibili ad accettare una scomoda situazione di subalternità. Negli USA il numero di persone in cerca di una laurea è equivalente a quello degli opera-tori attivi nel settore agricolo. Questa sorta di nuova e omogenea moltitudine di «lavoratori» senza stipendio adesso reclama compatta diritti cui la sua stessa forza le permette di aspirare. Il 43% dei giovani iscritti alle facoltà ha in media compiuto almeno 20 anni, appartiene a una classe sociale medio-elevata, esige il presalario generalizzato e rifiuta in blocco il comportamento dei burocrati e dei manager occidentali, includendo nella protesta anche la nomenklatura della Cina comunista, tacciandola di manovre atte a orientare la cosiddetta rivoluzione culturale in nome di oscure lotte interne di potere. «Occorre», scrive in quegli anni Bob Kennedy, «che i giovani sentano che un mutamento è possibile e che verranno ascoltati, che le follie e le crudeltà del mondo si arrenderanno sia pure con difficoltà ai sacrifici che essi sono disposti a compiere». Ma il teorico per eccellenza della contestazione giovanile è il filosofo e sociologo tedesco Herbert Marcuse, che descrive così gli accadimenti in atto: «L’opposizione degli studenti è frutto di una lotta contro la morale, la stupidità, la ricchezza e la brutalità della società moderna. Da questa negazione nelle metropoli nascono quelle forze che, in collaborazione con i movimenti del Terzo Mondo, possono realizzare un mutamento non della società, ma dell’individuo. Alla fine di questo processo c’è l’uomo nuovo. Oggi vi è una sola alternativa: o il socialismo o la barbarie. Una terza via non esiste più». Il Maggio francese, secondo l’intellettuale autore tra l’altro del Saggio sulla liberazione del 1969, ha rappresentato il primo passo per mettere in crisi la società a una dimensione.
Tra coloro che difendono i giovani si schiera, per certi versi, persino Paolo VI, che, in un’intervista rilasciata ad Arrigo Levi e pubblicata su La Stampa del 2 gennaio 1969 afferma: «Bisogna andare più a fondo nella psicologia della gioventù oggi ribelle ed esasperata, perché essa cela un’ansia di sincerità, di giustizia, di rinnovamento la quale non va disconosciuta, ma piuttosto interpretata come evoluzione verso forme più mature di convivenza». Il papa non esprime valutazioni negative o pessimistiche e, anzi, invita gli osservatori a tener conto di «un’esperienza che il nostro tempo ci offre. La gioventù odierna», osserva, «non disdegna di assumere atteggiamenti di assoluta sincerità e insospettata generosità come nelle calamità naturali del Vajont, nelle inondazioni di Firenze e della Toscana o del terremoto del Belice in Sicilia».
Marco Gasparini in Anni sessanta, edizioni del Capricorno
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Ferrara, novembre 1968
11 Oltre 600 studenti sui 1.600 iscritti al liceo scientifico Roiti occupano la scuo-la. Dichiarano che continueranno l’occupazione fino a quando le autorità scolastiche non si dimostreranno disponibili a discutere le richieste degli stu-denti: diritto di assemblea, diritti democratici, funzionalità e arricchimento delle attrezzature.
12 II Liceo viene sgomberato dalla polizia. Dopo l’intervento della polizia gli studenti si recano in corteo al provveditorato. Un sostegno alla protesta vie-ne dal presidente dell’amministrazione provinciale.
Lo stesso giorno una fotta rappresentanza di giovani dell’Istituto tecnico sta-tale di Ferrara solidarizza con gli operai che occupano l’Eridania.
13 Gli studenti ottengono il diritto di tenere assemblee all’interno degli istituti. La decisione viene annunciata al termine di una lunga riunione dei presidi convocata dal provveditore agli studi dopo aver ricevuto una delegazione di alunni del Liceo Roiti.
20 Nella facoltà di Medicina inizia una “occupazione aperta”, intesa come nuo-va fase di lotta studentesca per la democratizzazione dell’Università. Negli istituti di biologia e anatomia oltre 150 studenti costituiscono commissioni di lavoro per discutere sia i problemi generali, sia la funzione del medico nella società e la completa riorganizzazione del piano di studi.
27 Gli studenti che occupano Medicina solidarizzano con i lavoratori dell’Erida-nia in sciopero contro il licenziamento di 142 operai.
29 Viene proclamato uno sciopero generale per l’Eridania al quale, secondo i sindacati, aderiscono oltre il 90% dei lavoratori. Nel pomeriggio alcune mi-gliaia di lavoratori partecipano al comizio indetto dai sindacati. Al termine del comizio si forma un corteo di operai e studenti che percorre le vie della città fino allo stabilimento Eridania B occupato dai lavoratori. Al ritorno un nucleo di dimostranti si dirige verso il Castello Estense dove è riunito il Con-siglio provinciale. Senza alcun preavviso, la polizia, schierata per impedire l’ingresso nel Castello, carica i manifestanti. Negli scontri rimane ferito uno studente; altre decine di giovani sono colpiti dai poliziotti.
Grazie all’intervento del presidente della Provincia e di alcuni consiglieri di sinistra i giovani riescono a salire in massa nella sala del Consiglio dove espongono i fatti accaduti poco prima. Al termine dell’incontro i manifestanti formano un corteo, con alia testa il presidente della Provincia e rappresen-tanti di vari gruppi consiliari, e si recano in Consiglio comunale dove si svolge un nuovo incontro con gli amministratori.
30 II movimento studentesco invita ad una nuova manifestazione nel pomeriggio.
Il sessantotto lungo la via Emilia