A Modena, già nella prima metà degli anni Sessanta si assiste al passaggio da un’economia prevalentemente agricola a una industriale: imprenditori, artigiani, operai specializzati e un numero crescente di piccole e medie aziende, spesso a gestione familiare furono tra i principali protagonisti di quegli anni di “miracolo economico”. A questi si aggiunsero l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e gli immigrati dalle zone rurali modenesi e dal sud Italia.
A ciò si è accompagnato un vero e proprio stravolgimento della società, degli usi e dei costumi sociali.
La trasformazione dei luoghi di aggregazione cittadini, come ad esempio le osterie storiche che pian piano sono divenute prima trattorie e poi ristoranti, o che nel peggiore dei casi sono semplicemente scomparse, sono uno specchio di questo cambiamento culturale.
“Ma che cos’era un’osteria? L’osteria era il luogo dove si andava a bere ma dove si poteva anche mangiare se la moglie dell’oste quel giorno aveva fatto qualcosa o se tu avevi in saccoccia un po’ di salume o un pezzo di pane e formaggio. L’osteria era una scusa per stare uniti, l’osteria era un’anima, dove i giovani entravano cantando le nuove e vecchie canzoni e ne uscivano a notte tarda. Un luogo dove l’umile arredamento era costituito anche da pezzi scuri di giornale appesi alle pareti, che raccontavano di fatti strani ed ancestrali come del ritrovamento di un luccio gigantesco, di un toro fuggito e ammansito da un bimbo o di un angelo che dice Messa al posto di un frate scappato…